Viaggio con la mente: tra cinema e lettura

Il III millennio, già dal suo ingresso, è stato un periodo noto per il suo passato grigio, presente nero e futuro incerto.
Tra crisi e guerre, malgoverni ed epidemie, la gente comune non vede più il bicchiere o mezzo pieno o mezzo vuoto, ma lo vede rotto a terra.
La Capacità dell'uomo di immaginare credo che sia la capacità che rende l'uomo un essere unico, uomo che in tempi come questi a volte preferisce estraniarsi dalla realtà, allontanandosi da tutti quei problemi che caoticamente affollano la sua mente.
I metodi forse più conosciuti per evadere dalla realtà sono sicuramente il cinema e la lettura, chi legge riesce a ricreare mondi di cui lui solo è lo sceneggiatore, si emoziona e si immedesima nelle vicende e nei personaggi a lui più cari.
Spesso i grandi registi traggono spunto o mettono in scena così come sono, libri o intere saghe.
Basti pensare ad Harry Potter o al signore degli anelli, le cronache di Narnia, la bussola d'oro, Eragon e tanti altri.
Ma il genio di un regista non sta solo nel trasformare un libro in un'opera cinematografica ma sta anche nel creare da zero una storia e renderla valida ed emozionante. Un esempio di registi che in questo campo hanno dato il massimo è sicuramente James Cameron con il film "Avatar": quattordici anni di produzione, tecnologie create appositamente per determinate riprese, la rivoluzione del cinema 3D per il film più costoso della storia, Cameron ha dovuto creare una nuova lingua appositamente per i Na-vii (un popolo di un pianeta alieno) e una sceneggiatura 100% digitale. Tutto questo lavoro però è stato ricompensato perchè oltre ad essere il film fantasy più costoso della storia, è anche stato quello che ha incassato di più.
Il genere fantasy è uno dei generi più apprezzati proprio perchè in ogni sua forma ha la capacità di far evadere lo spettatore o il lettore trasportandolo in un nuovo mondo fatto di draghi, elfi, nani, guerrieri e maghi.
un mondo dove, a differenza del nostro, l'eroe trionfa sempre sul male. Un mondo forse dove sarebbe più piacevole vivere

tema scolastico 05/2010
Salvatore Schillaci
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RECENSIONE DEL FILM “ Baarìa”

Nel suo film, Giuseppe Tornatore rappresenta la vita a Bagheria tra gli anni ’30 e gli anni ’80, narrando le vicende di una famiglia attraverso tre generazioni: dal padre Cicco, pastore che ha passione per la letteratura epica, al figlio Peppino, cresciuto durante il periodo della guerra e che entrerà nelle file del Partito Comunista, divenendone uno degli esponenti di spicco sul piano locale, al nipote Pietro.
Tornatore, con questo film, apre la “Porta del vento” ( questo il significato arabo di Bagheria) sulla sua amata sicilia. Film ricco di emozioni, di passioni, di ideali. Il film può essere considerato come una corsa contro il tmpo e lo si può intuire sin dal suo inizio quando il bambino che viene mandato ad acquistare le sigarette comincia a correre. Una corsa contro il tempo che cancella il passato: sembra che la memoria del passato progressivamente va scomparendo e, con il suo film Tornatore cerca di destare il ricordo di un passato recente che sembra destinato a scomparire, nonostante i numerosi segni che ha lasciato nella società. Segni che, come l’affresco sulla volta della chiesa, dovevano essere cancellati. Il passato verrà dimenticato come conferma la parte finale del film in cui Peppino si sveglia dal sonno della sua vita e si ritrova ai nostri giorni bambino, come se tutto fosse stato un sogno, come se tutte le vicende politiche,amorose della sua vita dovessero essere ancora scritte. Ma c’è un particolare che lo riporta indietro nel passato:egli ritrova l’orecchino della figlia nella sua vecchia casa e capisce che tutto era reale,tutto era stato vissuto sulla sua pelle. Forse come l’orecchino, anche il suo film è una testimonianza del passato, non solo della società di Bagheria, ma di tutto il passato in generale.
Il regista mira inoltre a sottolineare che, nonostante il tempo passi, la società si trasformi, restano in vita una serie di tradizioni, di superstizioni che pongono leloro radici nel passato ma che si ripercuotono ancora nel presente e nel futuro. Sin dall’inizio del film si susseguono immagini di uova rotte e serpenti neri, immagini che verranno ripresentate anche nella parte conclusiva del film, quando già sono trascorsi decenni e decenni.
Uova rotte, l’orecchino, i serpenti, Peppino che dice al figlio Pietro quando è sul punto di partire per andare in cerca di un lavoro “Va vuscati ù pani” che significa “Vai a guadagnarti da mangiare”,stessa frase che già Peppino aveva udito da suo padre anni prima, e la scena finale in cui i due bambini che corrono, padre e figlio, si incontrano nello stesso momento, sia pur frutto di due epoche differenti, sono metafora del fatto che la vita è un continuo ripetersi delle vicende, metafora del fatto che tutto è e resterà uguale, nonostante i tempi passano.
La ricchezza della scenografia, la potenza visiva di alcune scene, la colonna sonora del maestro Morricone e la caratterizzazione volutamente a tratti di alcune figure di contorno rendono Baarìa un film difficilmente comprensibile e ricco di messaggi nascosti. Tornatore inoltre fa scorrere davanti ai nostri occhi scene di vita che nascondono messaggi veri.Il regista ci mostra una politica che non è solo del passato, ma anche del presente e, probabilmente, anche del futuro. Politica fatta di uomini senza scrupoli, come l’assessore cieco che decide di accettare il piano urbanistico solo dopo aver ricevuto un’apposita paga, senza sapere in concreto ciò che sarà realizzato. Ci presenta un mondo politico disonorevole, corrotto, ma egli sul finale ci lascia una speranza. La mosca intrappolata nella trottola riesce a volare ed è ancora viva. Tutto ciò è metafora del fatto che la nostra Sicilia, benchè viva ancora avvolta nelle sue antiche tradizioni e , nonostante il passare degli anni, tutto sembra essere rimasto lo stesso, ha ancora una speranza, può ancora liberarsi delle sue antiche radici, può rivedere la luce e cominciare a volare.
Adriana Bonomo VB



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“ANDAVO A CENTO ALL’ORA”: PARTENZA DA CASTELTERMINI

A Casteltermini vi potrà capitare d’incontrare, seduto in una delle piazzette del nostro paese, l’autore della famosa canzone “Andavo a cento all’ora”, e con disarmante gentilezza accompagnata dal dolce accento francese vi racconterà la folle corsa della sua canzone.
In arte Toni Dori, all’anagrafe Matteo Butticè è arrivato in Francia come turista ma poi è rimasto ospite dei nostri cugini d’oltralpe. Nel 1962, quando internet ancora non esisteva, partì da Casteltermini per approdare negli studi dell’RCA, e lasciare la sua indelebile impronta nella storia della musica italiana.
Andavo a cento all’ora” un viaggio lungo quarantasei anni, l’arrivo è ancora molto lontano ma la partenza? Ci racconti com’è andata.
Mi ero recato a Roma, negli studi dell’RCA, per fare un disco. Feci ascoltare vari pezzi al direttore, ma lui insisteva sul voler fare registrare “Andavo a cento all’ora”. Mi propose, dunque, di farla cantare ad un giovane e sconosciuto talento, a Gianni Morandi. E da quel lontano 1962, nacque la lunga storia di “Andavo a cento all’ora”.
Che emozione provò quando per la prima volta sentì la sua canzone alla radio?
Un’emozione grandissima. Eravamo in vacanza, e in una trasmissione di Peppino di Capri passarono la canzone; di colpo mi svegliarono mentre mia cognata si mise ad urlare: “Questa l’ha scritta mio cognato” e sono rimasto immobile ad ascoltare.
Dove trovò lo spunto per scrivere una canzone che ancora oggi cantiamo?
Andavamo a suonare fuori con un’auto di grossa cilindrata. Quando partivamo facevamo sempre il pieno ma poi, al ritorno, restavamo sempre senza benzina e così decisi di scrivere una canzone che poi diventò “Andavo a cento all’ora”.
Si ricorda quando, per la prima volta, prese una chitarra in mano?
Come dimenticarlo? I tempi erano duri e molto tristi, un giorno in una locanda due litigarono e ruppero una chitarra, allora chiesi se potessero regalarmela; la presi e la risistemai e così imparai a suonare.
A Casteltermini ci sono molti ragazzi che con fatica cercano di entrare nel mondo della musica, che consiglio da?
Studiare, studiare tanto perché è molto dura e cercare di avere un appoggio molto importante. Non sono più i tempi degli anni ’60, in cui andavi a Milano ti facevi sentire da qualcuno e approdavi nel mondo della musica.
Guardandosi indietro ha una vita piena di emozionanti avventure. Progetti per il futuro?
Continuo a comporre musica, chi ama la musica non può fermarsi mai.

Luca Lo Re
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L'addio ad Alda Merini

Addio ad Alda Merini
Una figura intramontabile nella storia della poesia

In un naviglio di Milano viveva ancora fino a qualche giorno fa la Poesia con la sua più importante esponente, Alda Merini, venuta a mancare il 1°novembre in seguito ad un tumore osseo.

Nata a Milano il 21 marzo 1931, esordisce come autrice già all’età di quindici anni sotto la guida del critico letterario Giacinto Spagnoletti.
Nel 1953 sposa il panettiere Ettore Carniti da cui nasce la prima figlia Emanuela, nello stesso anno esce la prima raccolta poetica “La presenza di Orfeo”. Trascorre una vita piena di dolori e varie peripezie che la sconvolgono, come l’entrata al manicomio Paolo Pini nel ’65 dal quale esce solo nel ’72. In uno dei suoi pensieri afferma: “Per conoscere la poesia devi aver vissuto nel dolore, aver toccato con mano l’inferno della follia”. Definisce in seguito il manicomio come un bel castigo ingiustificato dove ha imparato a vivere: “Lì ho trovato la verità, ho imparato ad avere amore per la vita e disprezzo per il denaro, bisogna essere semplici fino all’estremo”.                                                                                            Fu  un’esperienza che la portò ad interrompere un periodo di silenzio durato vent’anni con uno dei più grandi capolavori “La Terra Santa”.
Era considerata una delle principali poetesse del Novecento, oltre che una persona originale, audace e irriverente. Durante la sua carriera conquista molti premi, infatti, la sua poesia visionaria, ma anche sommessa, è considerata un’opera di prima grandezza nella letteratura italiana.
Apprezziamo la Merini per la sua concezione di poesia perché ci ha insegnato che essa o educa il cuore o non può essere definita tale. In suo onore mercoledì  04 novembre sono stati celebrati i funerali di stato dove erano presenti non solo i familiari e molti cari amici della poetessa, ma molti milanesi che hanno voluto dare l’ultimo saluto alla grande Alda e che hanno rappresentato il sentimento di dolore di tutta l’Italia. Incontrare lei e la sua poesia significa inoltre entrare con dolcezza e con follia nei luoghi segreti in cui sono custoditi i valori della vita.  
Realizzato da:
Martina Fontanella
Arianna La Mendola
Elisa Varsalona
Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,
il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare
una esequie al passato.

Alda Merini, da "La Terra Santa"


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IL TEATRO: MONDO DA SCOPRIRE

Quest’anno oltre ai numerosi altri progetti che il “Liceo M. T. di Calcutta” offre agli alunni, è stato messo in atto quello del “Il Teatro”. Un’iniziativa presa all’inizio dell’anno da due professoresse: Maria Cristina Nocera e Rita Bonanno , che dopo averlo proposto alla dirigente hanno saputo portare avanti, da sole una piccola troupe composta da dodici piccoli dilettanti, entusiasti e pronti a mettere in scena una rappresentazione.
All’inizio non era chiara l’opera da realizzare, poi con il consenso anche degli allievi si è scelto il dramma in due atti di Giovanni Verga: “LA LUPA”. Una storia di amore, sesso e morte, dove i personaggi mettono a nudo tutte le loro debolezze e le loro passioni interiori. Le prove non sono iniziate a Settembre, bensì a Febbraio, quindi hanno avuto pochissimo tempo per prepararsi in un’opera così impegnativa.
Hanno messo tanta voglia di fare, e alla fine il recital era pronto per essere portato in scena. Con il prezioso aiuto di numerose persone, si è potuto organizzare un vero e proprio teatro nei locali della scuola, e questo ha contribuito a far diventare il lavoro dei ragazzi e degli insegnanti uno spettacolo.
Attraverso tante difficoltà, si è finalmente arrivati al giorno stabilito, così il 07 Giugno 2010 tutto era pronto per accogliere il pubblico che doveva venire ad assistere alla rappresentazione.
È stato un grande successo. Genitori, professori, amici e parenti erano contenti di aver visto i loro ragazzi attori per un giorno. Il Teatro? Un mondo da scoprire ed amare, da coltivare e maturare, un mondo dove l’unione è un punto di forza, queste le parole degli alunni.

                                                                                         Stefania Cordaro
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Artinmente: l’oasi di Casteltermini

Si sa che ogni deserto ha le proprie oasi, che stanno lì a fatica con lo scopo di far vivere un giorno in più la speranza dei beduini, che ogni notte partoriscono una leggenda da mille e una notte.
Anche Casteltermini ha le sue oasi, una di queste si chiama Artinmente, un’associazione culturale nata dalla voglia di alcuni giovani castelterminesi, che desiderano poter vivere in questo deserto e poter anche loro partorire una leggenda da raccontare ai propri figli; raccontare la storia della propria avventura nel deserto, come tanti “piccoli principi” che a fatica comprendono i ragionamenti dei grandi.
L’associazione ha lo scopo di risvegliare le coscienze dei giovani di Casteltermini e far capire che un terreno brullo solo se si coltiva potrà diventare una foresta e lo fa portando avanti vari progetti, tra i quali spicca la stagione dei salotti culturali, che vengono organizzati ogni mese con tematiche diverse. La stagione 2009 è cominciata con un salotto dedicato a Fabrizio De Andrè che ha visto come ospite lo scrittore sardo Ettore Cannas, che ha scritto il libro “La dimensione religiosa nelle canzoni di Fabrizio De Andrè”.
Ecco l’oasi di Casteltermini, un’associazione culturale formata da giovani, questo è quello che ci deve far riflettere: il futuro non è riproporre in maniera diversa le cose vecchie, il futuro sono i giovani che sono nati qui e che, in questo deserto vogliono vivere la propria vita.
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Al di là della politica e degli interessi personali, deve essere ricostruito il nostro futuro, e deve poter valere il nostro diritto a vivere nella nostra terra a costo di molte fatiche gratuite.

Luca Lo Re (VC)



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La miniera di Cozzo Disi

Se per lungo tempo Casteltermini fu uno dei comuni più ricchi dell’agrigentino, è merito della grande miniera Cozzo Disi. La miniera si trova ad 8 km da Casteltermini. Il territorio non possiede molte pianure, per tale motivo Casteltermini  non ha mai avuto una ricca agricoltura, per questo l’economia del paese, da agricola passò a mineraria, sfruttando le rocce della zona che sono della serie gelsoso-solfifero. Altre piccole miniere erano sparse per il territorio di Casteltermini, quella di Serralunga, San Giovanello Lo Bue, di frate Paolo e di Mannera vecchia, che sono rimaste aperte fino agli anni ‘60.
La miniera di Cozzo Disi fu una delle miniere più produttive della Sicilia. L’estrazione cominciata nel 1870 divenne molto considerevole intorno agli anni ‘40.
I minatori, passavano giornate intere all’interno delle miniere, lavorando con braccia e pale, talvolta nudi per l’alta temperatura. Una vecchia canzone che parla della miniera e dei minatori dice:  “e cu lu scuru vaiu, e cu lu scuru vegnu” ( e con il buio vado e con il buio vengo), perché i lavori cominciavano presto, e di notte interi gruppi di minatori scendevano in miniera, illuminando il percorso con le “Citalene”, le torce. Il lavoro terminava a tarda notte e si tornava in paese sempre con il buio. Lo zolfo estratto veniva poi lavorato con i processi di combustione o di flottazione.
I proprietari e i gestori delle miniere, spinti dal miraggio del guadagno facile e immediato, non esitavano a sfruttare lavoratori grandi e piccoli, che venivano trattati come schiavi, costretti a lavorare con un buio infernale e respirando esalazioni solforose. Il materiale estratto, infatti, veniva portato in superficie dai “ carusi”, bambini con un’età che partiva dai 9 anni che grandi scrittori come Verga e Pirandello hanno fatto letteralmente emergere dall’oscurità.
Le miniere erano degli antri infernali, si scendeva per metri e metri, attraverso centinaia di scalini, scivolosi e disuguali, illuminati dalle lumiere ad olio. Queste condizioni di lavoro e la natura stessa dello zolfo, portarono a numerose disgrazie che colpirono intere famiglie di castelterminesi e non solo, perché nella miniera lavoravano persone provenienti da paesi di tutto l’agrigentino e gran parte della Sicilia occidentale .
Nel 1965 la miniera di Casteltermini passa alla regione, la quale costituiva un ente , l’ente minerario siciliano, che raggruppava tutte le miniere dell’isola. A causa del crollo del valore dello zolfo, la miniera di Cozzo Disi dovette chiudere dopo aver effettuato costosissimi impianti di ammodernamento. La chiusura avvenne nell’ottobre del 1990 e da lì iniziò il lento declino dell’economia di Casteltermini che perse la sua ottima posizione economica e sociale.
Non è detto, tuttavia, che questa non riesca più ad apportare la ricchezza del passato. Il Comune, infatti, da tempo progetta la creazione di un museo che possa essere nello stesso tempo la testimonianza di un’attività sociale, economica e culturale ormai scomparsa, ma ancora fortemente viva nella nostra comunità, anzi uno degli elementi essenziali che caratterizza la nostra identità.
Giuseppe Di Franco III C

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